///

Cibo naturale, biologico, ecologico, a Km “0”. Business e coerenza. A cura de “Il Pellicano Onlus”

Il 99,99% delle sostanze chimiche che ingeriamo sono naturali! La certificazione per una coltura biologica, ad esempio, non è richiesta sul prodotto finale, al consumo, ma solo sul metodo di produzione e le colture biologiche non sono sottoposte a livelli più restrittivi di pesticidi rispetto alle comuni colture. Quindi i controlli effettivamente vengono effettuati in maniera rigida sulla produzione ma non è detto che sostanze non autorizzate non si possano trovare nel prodotto finale. La legge si occupa quindi solo del metodo di produzione mentre sarebbe più corretto spostare l’attenzione sul prodotto finale obbligando quest’ultimo ad avere determinate caratteristiche. Naturale è un termine molto usato nella pubblicità, in particolare per gli alimenti, e nonostante il numero sempre crescente di prodotti pubblicizzati come tali, non esiste ad oggi alcuna legge che definisca un prodotto naturale e ne disciplini l’uso. Lo stesso dicasi per l’alimento “ecologico” per il quale nessuna legge ne definisce le caratteristiche, ne disciplina l’uso o la produzione e può offrire dunque garanzia di tutela al consumatore. In definitiva ogni produttore può usare liberamente questi termini per confezionare di buone intenzioni il proprio prodotto commerciale! Naturale fa rima con biologico e nessuno di noi si sognerebbe oggi di mettere in discussione la superiorità nutrizionale degli alimenti biologici. E’ proprio vero? In realtà anche la parola “biologico” è un termine improprio in quanto l’attività agricola, sia essa biologica o convenzionale, verte sempre su un processo di natura biologica attuato da un organismo vegetale, animale o microbico. L’Italia, con il 7% di superficie agricola destinato a questa coltura, è uno dei paesi leader della produzione biologica europea. Il verdetto arriva dall’esame di 239 ricerche effettuate ad oggi sul tema. Uno studio dell’Università di Stanford del 2012 conferma un precedente studio della Food Standards Agency inglese del 2009 e dimostra una parziale superiorità del “biologico” rispetto al prodotto convenzionale solo nel rischio ridotto di contaminazione da pesticidi ma nessuna differenza viene evidenziata nella quantità di proteine e vitamine!Un altro tema molto importante è il cibo a chilometro zero. Intanto dovremmo chiederci perché i chilometri zero debbano valere solo per il cibo e non per altri prodotti? La Coldiretti, Slow Food, ecc. promuovono giustamente i prodotti DOP come mozzarelle, lardo, cipolle, ecc. che per principio, però, dovrebbero essere mangiate solo nella zona di produzione! Ha senso scandalizzarsi, come tuonano queste associazioni, per il vino importato dalla California o dall’Australia e promuovere poi con poca coerenza il nostro vino in USA, le nostre mele, il nostro pecorino, il parmigiano in giro per il modo? Si domanda Bressanini: “La spesa a chilometro zero è più sostenibile ecologicamente?”. Gli esempi citati e documentati da ricerche serie e autorevoli hanno sorpreso anche me. Nel nostro immaginario il concetto incontrovertibile è che più un alimento ha viaggiato più energia ha consumato, più combustibili ha bruciato e gas serra ha prodotto. In definitiva il cibo più viene da lontano, meno è ecologicamente sostenibile. E’ vero? Molti studi seri dimostrano il contrario. Alcuni esempi: basta fare pochi chilometri in macchina per comperare un chilo di fagiolini per emettere più anidrite carbonica che non trasportandoli dal Kenya, un paese oltretutto che sta incrementando notevolmente le colture “biologiche”. Spostiamo una tonnellata di macchina per un chilo di fagiolini quando un carico su una nave ne trasporta molte decine di migliaia di tonnellate. Quindi consumi energetici ed emissioni di gas serra individuali possono essere superiori a quelli necessari per un grosso carico che rifornisce più mercati. Ricerche serie ed accreditate hanno dimostrato che produrre pomodori in Svezia costa energeticamente molto più che importarli in questo paese dalla Spagna. Le fragole che arrivano in aereo dal Medio Oriente costano meno, in termini energetici, di quelle prodotte da noi in tutti i periodo dell’anno. Molti paesi del nord Europa per allinearsi ai consumi di frutta e verdura minimi raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dovrebbero incrementare ulteriormente l’importazione di frutta e verdura dall’Africa o altri paesi del sud del mondo. Se volessero sposare il principio dei chilometri zero incrementando la produzione in loco, con l’utilizzo di serre e di ambienti ecologici artificiali, ciò comporterebbe un impatto ambientale ancora peggiore. Tutto ciò è scientificamente dimostrato!

 

Dr. Raffaele Ruocco

Il Pellcano Onlus https://www.ilpellicano.perugia.it/

 

Latest from alimentazione