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Identità funzionale fra corpo e mente a cura de “Il Pellicano Onlus”

Fin dal tempo degli antichi Greci psiche e soma sono stati considerati parte di un tutto.

Kalos Kai Agathòs: bello e buono, è un concetto che i Sofisti hanno coniato e che non deve essere interpretato alla luce della mera traduzione letterale.

Il bello dunque non è ciò che intendiamo con la semplice bellezza fisica ed il buono non consiste nella semplice giustizia morale, ma innescano un processo di auto valutazione e cura per se stessi nel quale non vi è scissione fra corpo e mente ma un’intensa interdipendenza.

Lo studio partito dai Greci, per Platone attraverso la Kalokagathia, passato per Feuerbach che ci fornisce una fortissima correlazione fra psiche e soma: l’uomo è ciò che mangia, arriva nel secolo scorso ad un’importante definizione con W. Reich e A. Lowen che considerano appunto: la persona come un sistema organizzato, all’interno del quale la mente ed il corpo sono in stretta relazione e si influenzano fra loro. Così ciò che accade al corpo accade anche alla mente, in funzione di reciprocità. Quando cresciamo e ci evolviamo il nostro corpo imprime e registra non solo le esperienze negative o positive che viviamo, ma continua anche inconsapevolmente la relazione con il nostro mondo interiore: manda segnali, sottolinea ed evidenzia variazioni energetiche che intervengono a seguito delle emozioni che lo attraversano.

Per gli adolescenti del nuovo millennio questa importante e spesso disfunzionale dicotomia si manifesta in concreto dalla curvatura della schiena, allo stare fisicamente chiusi, chini a testa bassa sugli smartphone, fino a riflettersi interiormente nel nichilismo che nelle forme peggiori oggi possiamo riscontrare in un fenomeno che dal mondo occidentale sembriamo aver adottato con una triste fierezza: l’Hikikomori.

Il rischio di cui abbiamo parlato anche precedentemente è reale e tangibile e poiché esiste questa forte correlazione fra il nostro corpo, postura quindi atteggiamento, ed il nostro mondo interiore, per poter aiutare i nostri giovani se non dalla mente si può partire dal corpo, dall’atteggiamento posturale e dalla comunicazione non verbale per riuscire a toccare una psiche chiusa su se stessa che fatica ad aprirsi.

Il punto di partenza in ogni caso è la consapevolezza, l’empatia e l’ascolto del professionista d’aiuto che, per seconda cosa, deve fornire consapevolezza alla persona che ha di fronte in relazione alle proprie emozioni, ai propri disagi ed alle proprie risorse.

Couns. Federico Freddio

www.ilpellicano.it 

 

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