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Mano nella mano di Benedetta Galli . A cura de “Il Pellicano onlus”

Sono Benedetta Galli e assieme alla psicoterapeuta Assunta Pierotti alla fine degli
anni ‘90, precisamente correva l’anno 1997, grazie al gruppo auto-mutuo-aiuto con
la quale con altre ragazze si era creato un rapporto profondo e di solidarietà,
decidiamo di fondare a Perugia l’associazione “Il Pellicano”.
Tramite i racconti e delle brevi narrazioni si era consolidata un’atmosfera accogliente
e di sostegno reciproco, tanto che sentivamo l’esigenza di dare una concretezza al
concetto di aiuto. Dopo un incontro tra di noi e i terapeuti nasce quindi, se vogliamo
dire, un’ispirazione, l’idea di raccogliere tutte le nostre necessità.
Così diamo nome all’associazione e creo il logo; trovando estremamente efficace l’utilizzo
simbolico dell’animale pellicano. Il logo rappresenta un pellicano che con le ali
abbraccia, in un cerchio aperto; la leggenda narra che questo animale per nutrire la
sua prole, può addirittura arrivare a strapparsi il cuore, dunque, simboleggia il
sacrificio estremo, l’amore e la capacità di donarsi agli altri.

Dopo  esseermi allontanata dall’associazione per 13 anni, sono tornata e ho avuto modo di trovare un
ambiente cresciuto,organizzato e credo vista la sua maturazione, di poter dare tanto, riscontrate le
sinergie immense.
Il punto chiave è aiutarsi, laddove vi è una fame d’amore, perché la vera
problematica della patologia, non è l’immagine o l’ideale di bellezza, bensì si cela
dietro molto altro. Quando ero giovane, la mia idea di magrezza era l’invisibilità, pur
pesando 45 kg io mi sentivo di troppo, molto più grossa di quello che non ero. La
malattia è quindi vedere allo specchio qualcosa di distorto, e questo ha un preciso
nome, ossia, “dispercezione corporea”, un sintomo della patologia molto duro da
combattere, se non il peggiore da mandar via.
Il cibo non c’entra. Nella guarigione si tratta di imparare a gestire i sentimenti
incatenati, impetuosi, si tratta di imparare a dire ti voglio bene, ti amo e a chiedere
un abbraccio.
Io ho imparato da poco, approfittando del recente dolore fisico, il valore di chiedere
un abbraccio ai miei genitori, dopo 20 anni mi è sembrato un gesto così semplice,
eppure difficile da accogliere.
E senza un ambiente che abbraccia e sostiene il problema, che non lo giudica ma lo
affronta, non vi è la possibilità di sperare che non sia del tutto irreale andare avanti,
perché solo stando nella difficoltà si ha la capacità di capire e guarire.
Nonostante questo riconosciamo che, anche dopo anni, non si ha sempre la ricetta
perfetta per il paziente, lo si può solo accogliere nel dolore e camminare mano nella
mano assieme ad esso, verso la luce.

Benedetta Galli

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