Disabilità, un concetto in evoluzione: dall’antichità al regime nazista

Manicomio di Girifalco anni '40 del '900

Nel corso della storia, l’uomo occidentale, nella ricerca della normalità e della perfezione, ha cercato di adeguarsi ai canoni della cultura dominante, respingendo la diversità fisica e mentale.

DA PUNIZIONI DIVINE A MALATI DA ASSISTERE

Nell’epoca classica forza e bellezza venivano considerati ideali da raggiungere, mentre deformità e malattia non venivano tollerate perché associate alla colpa e alla volontà divina. Platone affermava che il compito della giustizia e della medicina era curare i cittadini sani nel corpo e nello spirito: «Quanto a quelli che non lo siano, i medici lasceranno morire chi è fisicamente malato».

Con l’affermarsi del Cristianesimo si assiste a un profondo cambiamento culturale, portando con sé una nuova concezione della disabilità: la persona con handicap viene considerata parte della comunità. Dal XIII secolo in poi, le persone disabili vengono situate nelle primissime strutture ospedaliere, gestite dalle comunità monastiche e dalla Chiesa.

Negli anni, gran parte della popolazione europea sviluppa una crescente curiosità nei confronti della malattia mentale, tanto che alcune strutture (a Londra, Parigi, e in alcune città della Germania) diventano teatri di mostruosità. Al costo di pochi penny, infatti, i londinesi potevano visitare l’ospedale Bedlam e osservare i comportamenti bizzarri dei pazienti rinchiusi nelle gabbie come animali da circo.

LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA SPECIALE

L’avvenimento che segnò la nascita della pedagogia speciale fu il caso del selvaggio dell’Aveyron. Nell’estate del 1798 venne ritrovato in Francia un bambino di undici anni, cresciuto in solitudine in una foresta dell’Aveyron. Il ragazzino fu oggetto di numerosi studi: veniva descritto con una faccia scimmiesca, incapace di parlare e di comprendere, presentava numerose cicatrici su tutto il corpo, camminava a quattro zampe e aveva una particolare attitudine ad arrampicarsi sugli alberi.

Jean Marc Gaspard Itard (1775-1838), nell’estate del 1800, prese in cura il bambino, dandogli il nome di Victor e conferendogli un inizio di identità civile e sociale. Partì dall’ipotesi che fosse affetto da grave ritardo sul piano cognitivo e affettivo a causa dell’isolamento sociale prolungato e delle condizioni di abbandono in cui era cresciuto. Fu il primo a sostenere che la vita dell’uomo è principalmente sociale, sottolineando come l’assenza di un’adeguata socializzazione possa creare l’handicap. Questa vicenda introduce una nuova immagine del disabile nella storia, quella del malato, di persona bisognosa di cure, di assistenza e di educazione speciale.

DELINQUENTI ANTROPOLOGICI E PUREZZA DELLA RAZZA

Se il 1800 fu segnato dal concetto darwiniano di «selezione naturale» – ossia la conservazione delle variazioni più vantaggiose per l’individuo nelle sue particolari condizioni di vita e l’eliminazione di quelle più svantaggiose – l’Italia alla fine del secolo fu scossa dall’opera del criminologo Cesare Lombroso, che diede un enorme contributo alla diffusione dell’ideologia razziale. Ne L’uomo delinquente (1878), definì «delinquenti antropologici» tutti quei soggetti colpevoli di atti criminali perché fisicamente e psicologicamente diversi dall’uomo «normale». Arrivò al punto di individuare queste caratteristiche in interi gruppi etnici, uno dei quali era quello delle persone con qualche forma di disabilità. Per questi casi di degenerazione antropologica la cura non poteva che essere drastica: carcere duro o pena di morte.

Qualche tempo dopo, Mussolini affermò che lo Stato è il principale garante della salute pubblica e che il suo compito è quello di curare la razza dalle impurità e dalle imperfezioni.

Durante il ventennio fascista, i medici e gli psichiatri erano ossessionati dalla presunta diffusione di degenerazioni e infermità mentali, così che, tra il 1926 e il 1928, vennero internati più di 50.000 malati mentali.

In Germania, già all’inizio del cancellierato di Hitler, una legge del 1933 elencava i candidati alla sterilizzazione: persone con handicap fisici e mentali, soggetti affetti da malattie congenite nonché da cecità ereditaria e sordità; successivamente si aggiunsero interi gruppi etnici considerati «biologicamente inferiori».

Due anni dopo seguirono le famose leggi di Norimberga (1935) che impedivano matrimoni e accoppiamenti tra persone «indesiderabili». Alla sterilizzazione fece seguito l’eutanasia dei cosiddetti esseri inferiori. Per convincere la popolazione tedesca della necessità della pratica, la propaganda nazista iniziò a denunciare gli alti costi delle cure destinate ai disabili, giustificando così l’eliminazione di tutte quelle vite umane prive di valore che rappresentavano un peso per la società.

Nel 1938 iniziò la soppressione legalizzata dei bambini affetti da insufficienza mentale e deformità fisiche; neonati, bambini e adolescenti colpevoli di essere nati con un handicap, affetti da malattie congenite, con qualche difficoltà di apprendimento o con problemi comportamentali, vennero uccisi in nome della purezza razziale.

Tra il 1939 e il 1947, solo in Germania, furono uccise 275.000 persone disabili.

 

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