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Ipoacusia neonatale: curata in modo adeguato e tempestivo può essere risolta

Alina (nome di fantasia) è una bambina ucraina operata 8 anni fa, quando aveva un anno e mezzo: grazie a un impianto cocleare oggi suona il pianoforte e sta diventando un’artista provetta. La nonna, che lavora in Italia, alcuni mesi fa ha portato al reparto di Otorinolaringoiatria dell’Azienda Ospedaliera di Perugia un dischetto per mostrare orgogliosa le esibizioni della nipote all’equipe medica che l’ha operata e salvata dalla sordità totale.

A raccontarci questa storia è il professor Giampietro Ricci, direttore della Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria e del Dipartimento di Neuroscienze dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Perugia, direttore della Scuola di Specializzazione in Otorinolaringoiatria dell’Università di Perugia e del Centro di riferimento regionale umbro per gli impianti cocleari.

LE IPOACUSIE NEONATALI

«Oggi le ipoacusie neonatali, se individuate e curate prontamente, possono non incidere nella vita del bambino, che avrà uno sviluppo cognitivo e verbale come un normoudente. Perché ciò avvenga, occorre una diagnosi entro i tre mesi di vita, un inizio di riabilitazione entro i sei mesi, e se c’è bisogno, di effettuare un impianto cocleare – cioè un orecchio artificiale bionico – in età compresa tra i 12 e i 18 mesi. Fondamentale quindi è la tempestività nell’intervenire perché, se la sordità viene individuata troppo tardi, ci possono essere gravi ripercussioni. Questo è possibile grazie a uno screening uditivo neonatale universale fatto ai bambini appena nati. In Umbria – una delle prime regioni italiane ad applicare questo tipo di screening – viene effettuato in tutti i centri neonatali, secondo una legge regionale del 2007. Tramite una sonda inserita nell’orecchio, in pochi secondi sappiamo se quell’orecchio è normale o se ha patologie» spiega il professor Ricci.

IL CENTRO DI TERZO LIVELLO

Se l’esame – fatto dalle infermiere del reparto di neonatologia – evidenzia patologie, i piccoli vengono mandati al Centro di terzo livello per lo screening audiologico universale neonatale, dove viene effettuata la diagnosi. L’ipoacusia congenita neonatale – in particolare l’ipoacusia profonda bilaterale, la più grave – ha un tasso d’incidenza nelle nazioni più industrializzate di circa un bambino ogni 1000 e si tratta di un dato rilevante. In Umbria nascono circa 6000 bambini l’anno, vuol dire che circa sei neonati avranno una ipoacusia profonda bilaterale, ma esistono anche patologie più leggere che comunque influiscono nella vita quotidiana. Secondo un rapporto del 2021 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la sordità rappresenta la quarta-quinta causa più frequente di invalidità e si calcola che circa 450 milioni di persone nel mondo attualmente siano affette da ipoacusia invalidante. Nei neonati questa patologia ha un impatto devastante perché va a incidere sia sullo sviluppo cognitivo sia su quello linguistico.

L’IMPIANTO COCLEARE

«Nel Centro di terzo livello abbiamo degli strumenti che ci consentono di effettuare diagnosi anche in soggetti non collaborativi. Se l’esame chiave individua l’ipoacusia, inizia l’iter riabilitativo: nelle forme molto leggere può essere sufficiente anche una semplice assistenza logopedica, mentre nelle forme gravi e profonde spesso è necessario un impianto cocleare: a Perugia abbiamo dal 2004 il Centro di riferimento regionale umbro per gli impianti cocleari. Una vera eccellenza» prosegue Ricci.

Ma che cos’è un impianto cocleare? Non è altro che un orecchio artificiale. È il primo organo di senso costruito in laboratorio che può sostituire la coclea (dove l’energia meccanica vibratoria del suono viene trasformata in impulsi nervosi), nei soggetti in cui essa risulti irrimediabilmente danneggiata.

«È diverso dalla protesi acustica – che è semplicemente un amplificatore – e quindi il soggetto deve avere un udito residuo discreto. L’impianto cocleare è un piccolo computer che trasforma l’energia sonora in impulsi elettrici, inviati direttamente al nervo acustico. Questo apparecchio rappresenta il massimo: è una tecnologia sofisticata che garantisce una vita perfettamente normale. Possiamo dire che oggi l’ipoacusia, se non è collegata ad altri deficit visivi o cognitivi, se viene individuata in tempo e trattata in maniera adeguata, non porta ripercussioni sullo sviluppo cognitivo e linguistico del bambino. Però occorre rispettare delle tempistiche, che sono chiaramente impegnative: serve un team multidisciplinare formato dall’otologo, dall’audiologo, dal chirurgo dell’orecchio, dal pediatra, dal genetista, dal neuroradiologo e dalla logopedista che è fondamentale. Una volta impiantato, il piccolo va seguito anche per anni per far sì che la parola si sviluppi al meglio» illustra il primario.

GLI IMPIANTI PER ADULTI

La richiesta d’impianti arriva anche per soggetti di età più avanzata: l’operazione viene fatta in anestesia totale, ma non comporta grandi rischi chirurgici.

«Oggi sono applicabili anche protesi acustiche impiantabili chirurgicamente, che hanno le stesse prestazioni delle protesi convenzionali ma sono meno visibili, a queste si aggiungono le protesi acustiche totalmente invisibili che si innestano all’interno dell’orecchio: queste però pongono ancora dei problemi di tipo tecnico, soprattutto per quanto riguarda le batterie, che vanno cambiate, e il microfono che sottopelle può dare dei problemi. Noi, per ora, abbiamo scelto di non utilizzarle, ma sicuramente in futuro sostituiranno quelle convenzionali. Abbiamo la tecnologia che ci offre la possibilità di fare diagnosi brillanti e molto precoci nei neonati e delle riabilitazioni efficaci, ma occorre lavorare tutti insieme: sanitari, operatori, famiglie e associazioni. In Umbria molto attiva c’è F.I.A.D.D.A. (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti delle persone Audiolese)» conclude il direttore Ricci.

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