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Professor Talesa: «Un’unica famiglia dà maggiori possibilità»

Il direttore del Dipartimento di Medicina racconta le eccellenze della facoltà e le nuove prospettive

«Un’università che funziona bene permette a una società di funzionare meglio». Il pensiero del professor Vincenzo Nicola Talesa è chiaro e da direttore del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia lo applica ogni giorno, guidando una struttura che ha accorpato ben tre dipartimenti: Medicina, Medicina sperimentale e Scienze chirurgiche e biomediche.

In cosa consiste e quali risultati sta portando il percorso riorganizzativo intrapreso già da un anno della Facoltà di Medicina?

Fondamentale è stato aver riunito sotto un’unica regia tre dipartimenti che concorrono alla formazione dei futuri professionisti medici, odontoiatri e delle professioni sanitarie. Ciò consente di ottimizzare i percorsi formativi e soprattutto è un beneficio per gli studenti, che possono contare su un più ampio accesso alle strutture, ai fondi per la didattica e una maggiore partecipazione alla gestione delle attività dipartimentali. Un’unica grande famiglia dà maggiori possibilità: un corpo unitario è sempre meglio della somma delle parti. Inoltre, c’è stata una razionalizzazione delle spese, una migliore organizzazione della programmazione e un’espansione degli orizzonti, specie nella ricerca.

A proposito di ricerca, a che punto è?

A un ottimo punto, sia per la ricerca preclinica che clinica. Abbiamo ricerche di frontiera che aprono la pista a nuovi orizzonti in cui sono coinvolti numerosi giovani ricercatori, progetti europei e internazionali con istituzioni mondiali. Non va poi dimenticato che è un dipartimento che ha anche una responsabilità di tipo assistenziale. Siamo un’eccellenza, ma è importante far uscire dai laboratori il lavoro sperimentale per applicarlo concretamente nell’ambito sanitario e non. Per tutti questi aspetti è fondamentale la collaborazione con il Sistema Sanitario Nazionale.

Cosa significa essere alla guida di un dipartimento così importante in un periodo tra i più complessi dal punto di vista sanitario? 

Non è stato un periodo facile – sono stato eletto nel dicembre 2020, in piena pandemia. Abbiamo dovuto affrontare, come tutti i dipartimenti, l’organizzazione della didattica a distanza e il conseguente rallentamento dell’attività di ricerca e di quella assistenziale. Speriamo di tornare presto alla normalità. Ma, grazie alla fiducia dei docenti, del personale tecnico-amministrativo e degli studenti che mi hanno eletto, siamo riusciti a mantenere alto il livello qualitativo dei servizi.

Il Covid ha fatto aumentare gli iscritti, anche sull’onda del motto «medici e infermieri eroi».

Abbiamo aumentato i numeri, rispondendo alla richiesta del Paese dei ruoli sanitari. Questo è stato possibile grazie al personale docente e alle strutture in grado di ospitare numeri maggiori di studenti. Però va ricordato che sì, è importante il numero, ma di più la qualità dei professionisti che formiamo. Non serve avere un medico, serve avere un ottimo medico. Stesso discorso vale ad esempio per infermieri, ostetriche, fisioterapisti, etc. Le figure sanitarie, per la responsabilità che hanno, devono essere preparate al massimo.

Cosa consiglierebbe a un giovane che intenda iscriversi a Medicina? 

Gli direi di fare un esame di coscienza e capire se ha l’attitudine per fare questa professione. Deve essere capace di gestire la salute del paziente e la propria, perché un professionista che sta 24 ore in ospedale non può dispensare una sanità di qualità. Deve dedicare anche del tempo a sé stesso e deve trovare un equilibrio tra l’ambito lavorativo e quello privato. Deve essere una spugna: assorbire le problematiche ospedaliere, ma quando il lavoro finisce deve liberarsene.

Un medico resta 24 ore perché lo vuole o perché è costretto da carenza di personale?

Una maggiore disponibilità di personale eviterebbe turni prolungati e minore stress. Tuttavia, a volte è necessario prolungare il servizio perché non si può lasciare un paziente a cui ci si sta dedicando: è eticamente giusto, se c’è necessità. Non basta richiedere esami o analisi, servono anche le sensazioni che si percepiscono nel rapporto col paziente. Può prolungare l’orario non perché deve, ma a volte perché c’è la necessità di mantenere quel rapporto medico-paziente a cui si accennava sopra. Questo vale per tutto il personale sanitario.

Nella classifica Censis 2021-2020 l’Università di Perugia è al vertice dei grandi atenei statali: da direttore di dipartimento e da membro del senato accademico, quanto è orgoglioso? 

Questo risultato è il frutto del lavoro che dal 2019 stiamo portando avanti con la governance per migliorare la qualità dell’ateneo. L’Università di Perugia ha più di 700 anni di storia e la Scuola di Medicina, fondata nel 1321, compie in questo anno il settimo centenario dalla sua fondazione ed è una tra le più antiche al mondo. Proprio per questo il 30 ottobre faremo una manifestazione per celebrare questa ricorrenza. Pertanto, è motivo di grande orgoglio non solo per il Dipartimento, ma per l’Ateneo e la città tutta.

Si può fare di più?

Sempre. Si deve sempre migliorare. Un’università che funziona bene permette a una società di funzionare meglio. Ha il dovere di formare i quadri che guideranno l’Italia e non solo. Non dimentichiamoci che, oltre alle attività formative, Mediche e Chirurgiche ben conosciute da tutti, ci occupiamo anche dello studio di nuovi modelli di sanità per migliorare il funzionamento dei servizi; basti pensare che la Scuola d’Igiene di Perugia ha formato dirigenti della sanità nazionale e, nel 1978, Perugia ha dato la spinta che ha portato alla riforma del Sistema Sanitario Nazionale.

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