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Il ruolo dello psicologo nel trattamento del dolore cronico a cura di Alessandra Bigioni

Il dolore cronico è uno degli aspetti più importanti nell’ambito delle patologie reumatiche e senz’altro uno dei più invalidanti: secondo gli ultimi dati, in Italia colpisce oltre 10 milioni di persone e compromette fortemente la qualità della vita.

Per chi soffre di patologie come l’artrite reumatoide o la fibromialgia, il dolore diventa spesso un compagno quotidiano che, oltre a limitare le attività fisiche, influisce anche sulla qualità di vita.

Lo sa anche chi non soffre di patologie specifiche: quando proviamo dolore, in qualsiasi punto, l’effetto si estende a tutto il corpo e ci fa sentire provati e stanchi, ci fa cambiare abitudini o ci rende tristi e preoccupati. Se il dolore è cronico, l’effetto è costante e dunque ancora più invalidante.

 

Tanti sono gli studi che hanno cercato di fare chiarezza sui meccanismi sottesi all’esperienza di dolore cronico e sulle differenze rispetto a stimoli dolorosi di breve durata. In questo secondo caso lo stimolo viene elaborato solo a livello delle aree sensoriali mentre, se si prolunga nel tempo, l’attività cerebrale coinvolge anche le aree deputate all’ elaborazione delle informazioni emotive. Le ricerche dimostrano quindi che, anche con uno stimolo di soli 10 minuti, si determina non soltanto l’attivazione delle aree sensoriali ma anche di quelle deputate all’elaborazione dei processi emotivi. Per questo motivo diversi autori preferiscono riferirsi al dolore cronico come “malattia a sé stante” (Raffaeli, 1997; Niv & Devor, 2004), cioè non come esito di un’altra condizione medica ma come patologia vera e propria che ha conseguenze sul corpo e sulla mente. Molti pazienti reumatici sviluppano allora una relazione complicata con il loro dolore, caratterizzata da ansia, depressione e altri disturbi emotivi connessi alla paura che il dolore possa peggiorare o compromettere la loro quotidianità. Questo può creare un circolo vizioso che alimenta ulteriormente il disagio e che può intensificare il dolore stesso.

 

Ma come funziona questo circolo vizioso?

Il ruolo principale è svolto dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), un sistema neuroendocrino che si attiva principalmente in risposta a situazioni di stress e che, tra le altre cose, regola la risposta infiammatoria. Proprio la disfunzione di questo asse potrebbe quindi contribuire alla manifestazione di sintomi infiammatori tipici delle patologie reumatiche, come il dolore cronico e la stanchezza persistente, e di conseguenza generare stress nel paziente.
In sintesi: situazioni di stress attivano l’asse HPA, l’attivazione causa un aumento di cortisolo che non riesce a modulare l’infiammazione e inoltre aumenta la vulnerabilità a nuovi stress. Il corpo non riesce a “spegnere” lo stress, quindi il circolo vizioso continua ed è più difficile sopportare il dolore.

 

Se il trattamento medico e farmacologico del dolore cronico è essenziale per questi pazienti, il supporto psicologico è allora altrettanto fondamentale perché contribuisce a migliorare il benessere del paziente offrendogli strumenti per gestire lo stress, il dolore e le sue ricadute nella quotidianità.
L’approccio al dolore cronico non può limitarsi alla cura fisica e lo psicologo dovrebbe rientrare tra le figure che si occupano della valutazione e del trattamento del dolore. Dare supporto psicologico alle persone che sperimentano dolore cronico vuol dire accogliere la loro sofferenza, sostenere la loro resilienza e attivare le strategie e le risorse personali di ognuno per una migliore qualità della vita.

 

Diversi sono i trattamenti psicologici disponibili per pazienti che soffrono di dolore cronico e diversi sono gli approcci alla base dell’intervento.

 

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) per il dolore cronico, ad esempio, ha come target le risposte disfunzionali comportamentali e cognitive al dolore; con il paziente si lavora quindi in particolare sullo sviluppo e il rafforzamento delle abilità di gestione del dolore (come il rilassamento strutturato, l’attivazione comportamentale e la programmazione di attività piacevoli).

 

Nella gestione del dolore cronico è inoltre utile la mindfulness, pratica che insegna ai pazienti a prestare attenzione al momento presente e aiuta a interrompere il ciclo di pensieri negativi e ansiosi che possono intensificare la percezione del dolore.

 

Sebbene l’approccio cognitivo-comportamentale si distingua come il metodo psicologico con le maggiori evidenze di efficacia nel trattamento del dolore cronico, è comunque necessario considerare l’importanza di interventi più incentrati sugli aspetti emotivi e relazionali di questa problematica. Approcci psicodinamici, ad esempio, esplorano i fattori psicologici ed emozionali che contribuiscono al dolore cronico, con l’idea che questo possa essere influenzato da conflitti emotivi non risolti e traumi; lo psicoterapeuta può lavorare con il paziente sulle sue risorse e sulla sua soggettività.

 

Infine, se è vero che il dolore cronico ha un forte impatto anche sulle dinamiche interpersonali del paziente (in casa o sul lavoro), allora un aiuto può venire anche da terapie sistemico-relazionali che avranno l’obiettivo di indagare eventuali forme di disagio nel rapporto con gli altri, favorire una comunicazione più efficace e prendere in considerazione anche le ricadute sociali e lavorative del dolore cronico.

Il sostegno psicologico può anche stimolare il coinvolgimento del paziente in gruppi di supporto, nei quali potrà confrontarsi con altre persone che vivono situazioni simili: questo aiuta a ridurre il senso di isolamento e permette di percepire supporto reciproco.

Oltre ai percorsi di supporto psicologico individuali e di gruppo, i pazienti possono trovare ascolto e supporto presso quelle associazioni territoriali che includono nel proprio organico figure professionali diverse (osteopata, psicologo, nutrizionista…). Questo è importante affinché i pazienti sentano che il loro dolore viene accolto da professionisti diversi che lavorano insieme, in squadra, mettendo a disposizione le loro competenze per permettergli di gestire al meglio il dolore e le sue ripercussioni nella vita di tutti i giorni.

 

Il dolore cronico legato alle malattie reumatiche non rappresenta solo una difficoltà fisica, ma coinvolge anche dimensioni emotive e psicologiche. Il supporto psicologico per il paziente reumatico è quindi fondamentale per migliorare la qualità della vita del singolo e della sua famiglia. Grazie a interventi specifici (come la Terapia Cognitivo-Comportamentale) o a percorsi di sostegno emotivo, lo psicologo può aiutare il paziente a sviluppare strategie utili per gestire il dolore e ridurre lo stress. Un approccio integrato che consideri sia gli aspetti fisici che psicologici della malattia è indispensabile per garantire una presa in carico efficace.

 

Eliminare il dolore non è sempre possibile, ma si può imparare a conviverci.

 

Articolo a cura di Alessandra Bigioni, psicologa

Socio AnaPP – Associazione Psicologi Psicoterapeuti – www.anapp.it

 

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